martedì 11 ottobre 2011

Per Ora Noi La Chiameremo Felicità - Le Luci della Centrale Elettrica



Mettiamola così: se uno non avesse mai ascoltato "Canzoni da spiaggia deturpata", allora "Per ora noi la chiameremo felicità" sarebbe un disco in grado di avere un senso. È un secondo album che potrebbe andare bene come primo - meno potente dell'esordio, con più incertezze, ma comunque significativo.
E invece ha la disgrazia di seguire un piccolo capolavoro, provando a esserne la copia carbone, senza introdurre alcun elemento nel paesaggio tracciato in precedenza.
In linea di massima le canzoni suonano anche bene; alcune no ("Anidride carbonica", ad esempio), altre molto, come "Quando tornerai dall'estero". Ma, più che un disco, sembra la medesima litania, la medesima preghiera a un cielo vuoto ripetuta senza variazioni. La verità è che qui il punto non sono le canzoni. Potrebbe suonare paradossale, ma non si tratta né di superficialità d'ascolto né di pregiudizio negativo. Anzi, è facile lasciarsi andare al periodare brondiano, aderire al suo vangelo e magari perdere l'occhio critico verso le note in quanto tali. Ecco: così come la forza sorgiva delle sue canzoni migliori è soprattutto di ordine extramusicale - poiché disegna uno scenario condiviso, raccoglie emozioni biografiche, smuove sentimenti storici - allo stesso modo il problema di questo disco è innanzitutto extramusicale.
E cioè: l'innocenza persa non si recupera più.

Questo non significa che "Per ora noi la chiameremo felicità" sia un brutto disco tout court.
E non significa nemmeno che il peccato sommo sia crescere, fandonia buona per gli adolescenzialisti. Il peccato sommo è scimmiottare l'innocenza perduta.
"Canzoni da spiaggia deturpata" ha avuto l'effetto di un fulmine improvviso e crudele, di un autentico evento. Al secondo fulmine, tuttavia, si fa strada l'idea che non è una divinità a scagliare la sua saetta bensì un semplice fenomeno atmosferico.
Non crediate che la rabbia e il dolore non possano essere naturalizzati. Non crediate che basti essere fedeli a se stessi per rendere onore alla bellezza. Anzi. Tutto può essere stilizzato e reso una macchietta: è sufficiente ripeterlo. Ripetere i soliti, sempre identici, giri d'acustica e il solito, sempre identico, cantato nervoso. Ripetere le stesse immagini, gli stessi umori, per altre dieci canzoni.

Il "noi" del primo album di Vasco Brondi era un plurale che includeva con naturalezza, il "tu" delle sue prime canzoni un vocativo nel quale riconoscersi, compenetrandovisi fino a identificarsi in uno di quei "tu", un singolo cui è stata dedicata una canzone che è insieme parte di tanti altri, parte di quella ferocia, di quella vergine disperazione. Ora invece questa comunione suscita un rifiuto immediato, una reazione come "no, non sono questa cosa, non posso essere soltanto e di nuovo questa cosa": "un bilocale da trecento euro al mese", "e il vapore acqueo delle nostre illusioni", "distruggere una fabbrica perché troppo malinconica", "dai nostri martedì magri", "parlami delle tue galere", e così via. Non si può essere di nuovo la scheggia di un disegno espressionista in bianco e nero, sempre incazzato o inferocito o sepolto dalle piogge o appartenente a una nebbia di tristezza collettiva. Non si può essere di nuovo l'immagine di un ragazzo che alza i pugni a un cielo nordico, bianco, distrutto, che conosce fin troppo bene.
Non può esserci la copia carbone di alcune emozioni così forti, troppo forti, al limite esse stesse della retorica e che nel primo disco si salvavano proprio perché sputate fuori senza vergogna e paura: un urlo che non sembrava riducibile a niente, indifeso e stupendo nella sua fragilità, che invece qui inciampa nel rischio più grande, ancora più grande dell'edulcorazione. Ripetersi tale e quale.

Non si tratta soltanto di "crescere" o "evolversi" come artista. Queste sono categorie troppo vaghe per essere utilizzate con coscienza. Ma se la musica di Vasco Brondi ha avuto l'impatto che ha avuto, è perché si trattava, appunto, di un evento. E la forza della musica come evento ed emozione biografica sta nella sua unicità.
Cristo viene crocifisso una volta sola: un nuovo Golgota farebbe ridere. Allo stesso modo, la prima volta che parli di periferie, amori distrutti e antenne è tutto bellissimo: nuovo, fresco, finalmente tuo. Dopo, suona falso.


Tracklist


  1. Cara catastrofe - 2:56
  2. Quando tornerai dall'estero - 3:23
  3. Una guerra fredda - 3:49
  4. Fuochi artificiali - 2:25
  5. L'amore ai tempi dei licenziamenti dei metalmeccanici - 3:49
  6. Anidride carbonica - 4:19
  7. Le petroliere - 4:19
  8. Per respingerti in mare - 4:04
  9. I nostri corpi celesti - 2:07
  10. Le ragazze kamikaze - 3:43

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Fonte: Ondarock

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